Il fenomeno del disagio scolastico o “mal di scuola”, e più nello specifico della dispersione scolastica, si presenta come fenomeno le cui cause non sono sempre facili da comprendere: si passa da situazioni in cui in modo più o meno manifesto i ragazzi frequentano la scuola, ma non ne sono di fatto coinvolti e segnalano il loro disagio con un rendimento basso, con comportamenti di scarsa attenzione, assenza, aggressività o indifferenza silenziosa, nelle aule scolastiche, sino a situazioni in cui alla fine il ragazzo lascia la scuola, abbandona il suo percorso per andare in una scuola diversa o per intraprendere un percorso formativo che lo avvii al lavoro.
Interrompere il proprio percorso
di studi, al di là delle molteplici sfaccettature che tale interruzione può
assumere, è comunque una “forma di rottura del patto formativo tra scuola e
individuo” che racconta di un doppio fallimento: della scuola, chiamata
culturalmente e socialmente ad occuparsi educativamente dei ragazzi, e dei
ragazzi stessi, che mettono in predicato parte del percorso di crescita e dei
compiti di sviluppo su cui stanno lavorando e investendo.
Un aspetto studiato a tale proposito è quello legato alla motivazione
ad apprendere.
Nel periodo adolescenziale, durante la frequentazione della
scuola media superiore, si assiste ad un generale decrescere della spinta
motivazionale, correlato ad un rifiuto della scuola e dell’impegno scolastico.
Importante diventa allora il ruolo degli educatori: genitori
e docenti, che devono essere in grado di cogliere quelle richieste e quei
bisogni dei ragazzi strettamente legati ai diversi compiti di sviluppo che li
impegnano.
I ragazzi a scuola hanno bisogno di spiegazioni chiare, collegate ad attività e temi significativi, connessi con il loro quotidiano, per arrivare a conoscere la realtà nei suoi vari aspetti. Vogliono inoltre essere considerati come persone ancora in ricerca, ma già con proprie idee che desiderano confrontare con quelle adulte per una valorizzazione personale.
I ragazzi a scuola hanno bisogno di spiegazioni chiare, collegate ad attività e temi significativi, connessi con il loro quotidiano, per arrivare a conoscere la realtà nei suoi vari aspetti. Vogliono inoltre essere considerati come persone ancora in ricerca, ma già con proprie idee che desiderano confrontare con quelle adulte per una valorizzazione personale.
La dimensione più funzionale per un lavoro di attenzione
reciproca è quella del dialogo a più voci, di tutto il gruppo classe che può
davvero portare cambiamento e riorganizzazione delle conoscenze.
Dai genitori ci si aspetta una linea educativa coerente e
lineare, mirata all’assunzione di responsabilità, ma anche la comprensione dei
bisogni specifici di quest’età e il riconoscimento che il valore personale e le
esperienze di apprendimento e di crescita dei propri figli va ben aldilà del
ristretto ambito scolastico.
Quando la collaborazione tra le due agenzie formative,
scuola e famiglia, non riescono ad aiutare i ragazzi nel proseguimento del loro
percorso e i fallimenti rischiano di minare la loro autostima e il loro
progettarsi nel futuro, può essere necessario consultare uno specialista nel
campo dell’orientamento scolastico e/o lavorativo o in ambito
psicologico-psicoterapeutico.